Infallibilità papale
Infallibilità papale, nella teologia cattolica romana, la dottrina che il papa, agendo come maestro supremo e in determinate condizioni, non può sbagliare quando insegna in materia di fede o morale. Come elemento della più ampia comprensione dell’infallibilità della chiesa, questa dottrina si basa sulla convinzione che alla chiesa è stata affidata la missione di insegnamento di Gesù Cristo e che, in vista del suo mandato da Cristo, rimarrà fedele a tale insegnamento attraverso l’assistenza dello Spirito Santo. Come tale, la dottrina è legata, ma distinguibile da, il concetto di indefettibilità, o la dottrina che la grazia promessa alla chiesa assicura la sua perseveranza fino alla fine dei tempi.
Il termine infallibilità è stato raramente menzionato nella chiesa primitiva e medievale. I critici della dottrina hanno sottolineato varie occasioni nella storia della chiesa, quando papi sono detto di aver insegnato eretica dottrine, il caso più notevole è quello di Onorio I (625-638), che è stato condannato dal Terzo Concilio di Costantinopoli (680-681; il sesto concilio ecumenico).
La definizione del Concilio Vaticano I (1869-70), stabilito tra notevoli controversie, afferma le condizioni in cui un papa può dire di aver parlato infallibilmente, o ex cathedra (”dalla sua cattedra ” come maestro supremo). È prerequisito che il papa intenda chiedere l’assenso irrevocabile di tutta la chiesa in qualche aspetto della fede o della morale. Nonostante la rarità del ricorso a questa affermazione, e nonostante l’enfasi data all’autorità dei vescovi nel Concilio Vaticano II (1962-65), la dottrina rimase un grande ostacolo agli sforzi ecumenici all’inizio del 21 ° secolo e fu oggetto di discussioni controverse anche tra i teologi cattolici romani.