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Il Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione

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Randall Albury svela la filosofia cortese.

In una fredda sera all’inizio di marzo del 1507, sulle montagne appenniniche del nord Italia, un gruppo di gentiluomini e dame coltivate siedono intorno al fuoco nella sala delle udienze della Duchessa di Urbino discutendo le qualità del perfetto cortigiano.

Tale è l’ambientazione di uno dei libri più celebri del Rinascimento italiano, Il Libro del cortegiano di Baldassare Castiglione (1478-1529), che fu un best-seller internazionale per un secolo dopo la sua prima pubblicazione nel 1528. L’autore, un nobile minore di Mantova, era un diplomatico umanisticamente istruito che prestò servizio presso le corti del nord Italia per la maggior parte della sua vita, terminando la sua carriera in Spagna come nunzio di Papa Clemente VII presso il Sacro Romano Imperatore Carlo V.

Tuttavia, nonostante la fama del libro e la sua traduzione in tutte le principali lingue europee, c’è poco del Libro del Cortigiano che a prima vista suggerirebbe serietà filosofica, e certamente nulla a intuire che contiene una filosofia politica dalla testa dura. Nessuno dei suoi personaggi ha la spietata volontà di potere di un Cesare Borgia, né il pragmatismo icily unsentimental di un Niccolò Machiavelli, entrambi contemporanei di Castiglione. Invece, i protagonisti di Castiglione formano quella che un eminente studioso ha definito una “comunità debolmente effeta”, e il loro discorso consiste, per la maggior parte, di battute spensierate. Le quattro notti di dialogo fittizio che Castiglione racconta mostrano la cortesia cerimoniale dei cortigiani di Urbino, la loro facile familiarità con gli autori classici, i loro ripetuti scoppi di risate e l’apparente frivolezza di alcuni degli argomenti trattati; ma se la conversazione sembra assumere un tono leggermente filosofico, come quando un oratore inizia a usare un controinterrogatorio socratico con il suo interlocutore, o quando altri due iniziano un dibattito che coinvolge concetti aristotelici di materia e forma, allora una signora senior della corte tipicamente interviene, cercando (non sempre con successo) di interrompere lo scambio.

O almeno questo è il caso per le prime tre notti. La quarta notte, la Duchessa invita due dei suoi cortigiani a presentare le loro opinioni su argomenti che guideranno la discussione in una direzione più filosofica. Il primo oratore, Ottaviano Fregoso, riprende il tema del perfetto cortigiano più alto obiettivo o scopo – che lo coinvolge in modo etico la formazione del suo principe; e il secondo relatore, Pietro Bembo, discute maturo cortigiano esperienza dell’amore, che si sviluppa in un’esposizione di risalita dal terreno sensualità alla contemplazione divina che ricorda Socrate discorso finale il Simposio di Platone (c. 380 a.c.).

Queste due discussioni sono state spesso criticate in modi che ne neutralizzano il significato filosofico. Si è tenuto a lungo, ad esempio, che l’ultima notte dei dialoghi era un ripensamento da parte di Castiglione, e quindi non formava un tutto organico con le discussioni delle tre notti precedenti. Anche se questo punto di vista è meno spesso mantenuto oggi, lo fa mostrare che molti lettori considerano la notte finale di essere tematicamente discrepante con il resto del testo, rendendo così sembra essere un’appendice al lavoro, piuttosto che una conclusione integrale ad esso.

Ancora più importante, la posizione che Ottaviano Fregoso espone riguardo al mentorato etico del perfetto cortigiano del suo principe è stata liquidata come idealismo altisonante ma politicamente inefficace, e il discorso sull’amore di Pietro Bembo è stato anche liquidato come puro evasione, del tutto estraneo alle realtà della vita contemporanea nell’Italia rinascimentale. In questa lettura, il libro di Castiglione è un’opera senza alcun significato filosofico. Presenta tre notti di discussione sull’etichetta cortese e una quarta notte di retorica idealista su argomenti che potrebbero dare un contributo alla conversazione cortese superficiale, ma non al pensiero filosofico. Dove un’interpretazione ha talvolta trovato una corrente più politicamente realistica nella scrittura di Castiglione, ha trattato questo aspetto del suo lavoro come pragmatico consiglio di carriera sulla sopravvivenza e l’avanzamento a corte, o come suggerimento che ci sono dure realtà politiche che si trovano al di fuori del ruolo del perfetto cortigiano, ma non, tuttavia, come una filosofia politica realistica.

scena di corte
Scena di corte di Andrea Mantegna, 1474

La Filosofia velata di Castiglione

Tralasciando le vedute di cui sopra, allora, dove troviamo la filosofia politica nell’opera di Castiglione? La risposta non è semplice, in primo luogo perché c’è un grande e di solito non apprezzato elemento di allegoria nel Libro del Cortigiano. Inoltre, il lavoro è scritto per affrontare tre diversi pubblici contemporaneamente-il pubblico generale alfabetizzato; signore e signori dei tribunali; e infine, un gruppo di lettori più “giudiziosi” come li chiama Castiglione, che penetreranno sotto il velo dell’allegoria. Per un lettore così giudizioso, il cortigiano perfetto come lo descrive Ottaviano è più di una semplice guida morale per il suo principe: agisce anche come un manipolatore benevolo del principe, e in casi estremi come un freno alle azioni ingiuste del principe verso i suoi sudditi, fino al punto di lavorare per l’how palese di un principe che è incorreggibilmente ingiusto.

In superficie Castiglione sembra presentare un’etica della virtù, ma solo in senso esortativo (cioè raccomanda che un principe abbia un’educazione alla virtù), non in modo filosoficamente sviluppato. Tuttavia, se siamo attenti alla ripetuta invocazione di Ottaviano dell’antica analogia tra il medico e lo statista-un confronto trovato negli scritti di Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca, Plutarco e molti altri filosofi classici-scopriamo che Castiglione si sta appropriando di un sistema etico ben sviluppato per guidare il suo perfetto cortigiano: il sistema di etica medica derivava sia dalla filosofia greco-romana che dalla tradizione morale della casistica cattolica. Castiglione applica quindi questo sistema etico medico all’etica dello stato per analogia.

Secondo questo sistema, affinché il trattamento medico di un paziente sia etico, il medico deve avere sia la competenza che la diligenza per completare l’azione che intraprende; e l’azione in questione deve essere quella che porterà al paziente più beneficio che danno. Materia arte di governare, vediamo che nel caso di un cortigiano di agire per salvare il suo stato, corrotti o tiranno, se questi requisiti erano stati regolarmente osservati nell’Italia del Rinascimento, quindi molti dei disastri che ha fatto seguito all’tentativi di rovesciare o assassinare governanti tirannici sarebbe stato evitato: nella maggior parte di questi casi i congiurati furono catturati, torturati e uccisi, mentre il righello stesso sia ripreso il suo governo, con una più dura del regime di prima, o se assassinato, è stato sostituito da un ancora più autoritario tiranno. Il Libro del Cortigiano fornisce, in forma velata, un quadro etico per le interazioni del cortigiano perfetto con il suo principe, compresa la guida per la situazione estrema in cui un principe è così malvagio che non ci si può aspettare di migliorare. Se un tale principe può essere rimosso con successo senza causare più danni che benefici allo stato, allora è etico che il cortigiano perfetto agisca a tal fine. Altrimenti, il cortigiano deve semplicemente voltare le spalle al principe malvagio e cercare un principe migliore altrove che possa servire.

C’è però un’altra domanda a cui rispondere, che ci porterà alla fonte della filosofia politica di Castiglione, e cioè: che cosa autorizza il perfetto cortigiano ad assumere in primo luogo il ruolo di medico-custode del suo stato? Per rispondere a questa domanda Castiglione si affida alla capacità del suo saggio lettore di riconoscere le molteplici allusioni nel suo testo al dialogo di Platone Lo Statista. In questo dialogo platonico i principali oratori concordano sul fatto che il vero governante deve avere una specifica forma di conoscenza che gli consenta di giudicare giustamente e di comandare in modo appropriato. Una persona che detiene la carica di governante, ma manca di questa conoscenza è un governante solo di nome; mentre una persona che ha questa conoscenza, anche se non detiene alcun ufficio a tutti, è tuttavia il diritto di governare. Fondamentalmente, per gli interlocutori di Platone, il segno che una persona ha la conoscenza che gli dà diritto a governare è il fatto che è in grado di consigliare correttamente un sovrano – e questa è solo la qualità che definisce il cortigiano perfetto nel discorso di Ottaviano.

Così, mentre Castiglione è altrettanto disposto come Machiavelli a raccomandare un’azione politica energica, fino al punto di sanzionare l’assassinio di un sovrano in circostanze estreme, lo fa tuttavia all’interno di un contesto intellettuale che Machiavelli abbandona – quello della filosofia politica classica. Così, sotto il velo dell’allegoria, il libro di Castiglione espone una filosofia politica coerente e realistica attinta da fonti classiche. Inoltre, la sua filosofia politica è di interesse più che per ragioni storiche, perché può essere applicata da chiunque oggi lavori a stretto contatto o agisca come consulente di una persona con una significativa autorità decisionale, e non solo al cortigiano rinascimentale che si impegna a consigliare il suo principe.

Amore

Infine, vediamo brevemente il discorso sull’amore di Pietro Bembo, che è l’ultimo grande episodio del Libro del Cortigiano. Come nel discorso di Socrate nel Simposio di Platone, Bembo raccomanda di salire per una serie di tappe – a volte conosciute come ‘la scala dell’amore’– dalla contemplazione della bellezza nei singoli corpi alla contemplazione della bellezza in sé, o in termini religiosi, la contemplazione della bellezza divina.

I critici hanno giustamente osservato che questo discorso sostiene di allontanarsi dalle preoccupazioni mondane e di dedicarsi interamente alla meditazione contemplativa. Ciò che raramente è stato notato, tuttavia, è che Bembo descrive questo percorso ascendente come uno che sarà seguito fino alla fine solo da pochissimi. Quindi, se è vero che una persona che ha raggiunto le fasi successive dell’ascesa non potrebbe essere un attore politico efficace, è anche vero che solo un piccolo numero di persone raggiungerà mai questo livello. Per qualcuno a metà della salita, però, la situazione descritta da Bembo è ben diversa. Qui il cortigiano politicamente attivo raggiunge un distacco filosofico sufficiente per liberarsi dalle distrazioni dell’amore appassionato che caratterizzano le fasi iniziali dell’ascesa senza dover abbandonare gli affari del mondo, come devono necessariamente fare quelli delle fasi finali. Essere al centro dell’ascesa di Bembo, quindi, aumenta l’efficacia politica del perfetto cortigiano piuttosto che dissiparla.

Conclusione

L’obiettivo di Castiglione di rivolgersi a tre diversi pubblici contemporaneamente in un unico testo spiega perché il Libro del Cortigiano è stato spesso pensato come presentare una diversità di opinioni senza giungere a conclusioni, o come poco più di un manuale di condotta (che è in effetti il modo in cui la maggior parte dei suoi primi lettori moderni Ma l’intrattenimento leggero che Castiglione ha fornito per il suo primo pubblico, e le raffinate regole cortesi di comportamento che ha fornito per il suo secondo, non esauriscono il senso della sua opera. Essi sono in sostanza solo il guanto di velluto ‘debolmente effete’ all’interno del quale ha nascosto la mano più politicamente efficace del perfetto cortigiano-una mano che potrebbe, in casi estremi, anche assumere le caratteristiche di un pugno spedito.

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